Automata: da vedere!

Automata, Asimov in salsa noir

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di Paolo Fiorino
Negli ultimi due o tre anni, alla fine di un film di fantascienza, la considerazione che più spesso mi è venuta in mente è stata: “Beh… questo era il massimo, non possono di certo far esplodere più cose di così”.

Puntualmente al film seguente questa certezza svaniva come neve al sole, distrutta dai colpi di qualche razza aliena di super robot giganti oppure travolta da una portaerei volante strapiena di tizi in calzamaglia.
Non che abbia qualcosa contro i tizi in calzamaglia che distruggono intere città, grazie al potere della CGI, anzi, li trovo piuttosto divertenti, ma ho la radicata convinzione che a un certo punto, se sei uno sceneggiatore di un certo livello, un’idea che sia una (e inventare un esplosivo più potente non è classificabile tra le idee) ce la dovrai pur mettere.
Fino a quando è possibile fare spettacolo aumentando il livello delle esplosioni? Fino a quando a esplodere non è la pazienza dello spettatore che, ormai assuefatto agli effetti speciali, comincia a trovare un po’ noioso il panorama cinematografico e decide di cercare qualcosa di un po’ diverso.

Magari qualcosa come: “Automata” un piccolo film spagnolo girato da Gabe Ibanez con un budget ridotto, un solo attore di richiamo (Antonio Banderas) e la (ri)apparizione di una vecchia conoscenza della cinematografia (Melanie Griffith).

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Automata mette in scena il ritratto di un’umanità stremata, ormai senza speranza, che è in procinto di essere sostituita come specie dominante da una emergente razza di robot senzienti.
I robot di Automata obbediscono, o almeno dovrebbero, alle tre leggi della robotica… ah no, scusate, obbediscono ai due protocolli… Asimov è stato qui ma in incognito, a quanto pare.
Le decadenti città che rimangono agli umani sono caratterizzate da ologrammi giganti che svolazzano in panorami tenebrosi, battuti da piogge artificiali e le persone, che le abitano, indossano impermeabili trasparenti. Aggiungete una testuggine (vi ricorda qualcosa?) che di tanto in tanto compare nei ricordi del protagonista, una battuta da i Griffin (“L’aspirapolvere è sceso dall’albero”), una da Avatar (“Che effetto fa tradire la propria specie?”), una spruzzatina di Ghost in the shell e il catalogo delle citazioni è quasi completo.
Di certo è un film poco appariscente e ha un’ambientazione, almeno nella prima parte, tanto alla Blade Runner da sembrare essa stessa un’unica lunga citazione, ma ha dalla sua una trama che prende una piega inconsueta, il che contribuisce a rendere il tutto un po’ più originale e godibile.

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Automata non è un capolavoro immortale, ma ha il merito di proporre una visione diversa di una storia, la presa di coscienza dell’intelligenza artificiale, che è da sempre un classico della fantascienza. Non è un film che fa dell’azione la propria bandiera anzi, al contrario, è volutamente lento. Una lentezza che sottolinea e fortifica il fatalismo noir che lo permea. Una volta tanto i robot non vogliono sterminare l’umanità e tutta la vicenda si risolve senza inseguimenti, sparatorie e devastanti esplosioni.
Consigliato ai fan di Asimov, da evitare per chi vuole essere stupito da effetti speciali.

 
 

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