Così la pubblicità sfrutta il nostro bisogno di essere felici per vendere

Così la pubblicità sfrutta il nostro bisogno di essere felici per vendere

Non è una strategia nuova. Ma in un mondo in cui nessun prodotto è unico, gli spot promettono quello che il denaro non può comprare: la felicità. E a volte funziona, nel senso che siamo felici davvero

Una macchina, in fondo, è una macchina. Una gonna, in fondo, è una gonna. Ce ne sono a migliaia in giro. Alte, basse, lunghe e corte. La stessa cosa vale per gelati, snack e bibite. Quando un pubblicitario non può più giocarsi più la carta della unicità del prodotto, e nemmeno quella della qualità o del prezzo più basso, cosa gli resta?Qualcosa che il denaro non può comprare: la felicità. Mangi un panino con dentro un hamburger, e diventi felice. Bevi una bibita ipercalorica, e improvvisamente ridi. Arriva il corriere con un pacco e urli dalla gioia. È quella che viene chiamata happiness formula, la formula della felicità. Che porta ad associare un prodotto a uno stato emozionale positivo.

La formula non è nuova. È sempre stato il segreto della pubblicità. Ma ora si mette tutto nero su bianco. Inserendo la parola felicità negli slogan, scrivendolo sugli scatoloni per la consegna di scarpe e abiti. Così, per esempio, il logo di Amazon sorride. Costa Crociere in una campagna del 2015 prometteva addirittura la “felicità al quadrato”. E Tony Hsieh, ceo di Zappos, piattaforma per l’acquisto online di abiti e scarpe, ha scritto un libro che si chiama Delivering Happiness, Consegnare Felicità. Più chiaro di così.

Una delle campagne pubblicitarie più note della Coca Cola si chiama “Open Happiness”. Negli spot proposti ai consumatori in giro per il mondo, la felicità veniva fuori dalla bottiglia una volta aperta.

Mangi un panino con dentro un hamburger, e diventi felice. Bevi una bibita ipercalorica, e improvvisamente ridi. Arriva il corriere con un pacco e urli dalla gioia. È quella che viene chiamata happiness formula, la formula della felicità

O ancora, la ricetta della Coca Cola è stata presentata più volte come la “formula della felicità”. La campagna italiana dedicata ai cento anni della bottiglia di vetro si chiamava “Bacia la felicità”. Mentre in uno spot diffuso in Svezia basta stappare una bottiglia di Coca Coca per far sparire improvvisamente il freddo dell’inverno e far apparire un prato fiorito.

Gli spot della Coca Cola sul risvolto felice del consumo della bibita sono stati talmente insistenti che il Center for Science in the Public Interest americano, per reagire all’invasione della felicità da bibite zuccherate, si è inventato uno spot dal titolo “The Unhappy Truth about Soda”. Quattro orsi, martellati dalle pubblicità delle bibite gassate associate alla felicità, diventano obesi e si ammalano. Alla fine padre orso convince il resto della famiglia che le bibite gassate non danno la felicità.

L’altra tecnica molto usata è quella di prometterci la felicità facendoci tornare bambini. A volte con reazioni spropositate, come le urla di Zalando quando arriva il corriere con il pacco (“urla di piacere”, dice lo slogan). O come ha fatto Vodafone in uno spot con Alessia Marcuzzi, rappresentando la conduttrice tv come una bambina, ma solo nel negozio della compagnia telefonica. È un po’ come la ricerca del tempo perduto proustiana: basta uno smartphone per farci riassaporare il passato.

Sorgente: Così la pubblicità sfrutta il nostro bisogno di essere felici per vendere – Linkiesta.it