Hikikomori: in crescita i giovani italiani che non studiano, non lavorano e non escono mai di casa

Hikikomori: in crescita i giovani italiani che non studiano, non lavorano e non escono mai di casa

di Simone Stefanini

“Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport.”

Io sto bene – CCCP (1986)

 

La parola giapponese hikikomori significa letteralmente stare in disparte e isolarsi. È un termine che fa riferimento a tutte quelle persone che decidono di non volere più aver niente a che fare con la società e con le sue regole, ma invece di andare in eremitaggio sui monti o nel bosco, si ritirano in casa propria e ne escono raramente, solo per i fondamentali tipo fare la spesa.

Come si evince dalla parola, il fenomeno è nato in Giappone come una sorta di ribellione alla cultura tradizionale dei giovani tra i 14 e i 30 anni, mediante un’esclusione sociale volontaria. Questo pericoloso fenomeno che in Giappone ha raggiunto la cifra incredibile di un milione di casi, sta interessando anche l’Italia. Son infatti in crescita i ragazzi che mollano la scuola e invece di cercare lavoro o realizzazione, smettono semplicemente di avere rapporti con l’esterno e si chiudono a riccio in un ambiente protetto, che presto diventa una gabbia.

Gli hikikomori decidono di vivere in rete, connessi a internet durante la notte e a letto durante il giorno, invertendo così il normale ciclo sonno-veglia, rifiutando ogni rapporto fisico, leggendo libri, giocando a videogames o oziando senza mai mettere il naso fuori dalla propria camera.

 

 

Non crediate però che i giovani che soffrono di questo disturbo siano da etichettare superficialmente con appellativi come bamboccioni, mammoni, vagabondi o choosy. Essere hikikomori significa vivere molto male, impauriti dalla gente, dai rapporti d’amicizia o d’amore, terrorizzati dall’idea di andare a scuola e ancor di più da quella di cercare un lavoro, senza nessun tipo di volontà di comunicare con famiglia o amici.

Un disturbo che può essere progressivo o avere motivo scatenante: un litigio coi genitori, un brutto voto a scuola, un licenziamento, episodi di bullismo o di violenza possono portare alla segregazione volontaria, all’allontanamento da quelli che sono avvertiti come pericoli provenienti dall’esterno.

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