I cinquant’anni di Davide Oldani, l’inventore della Cucina Pop

I CINQUANT’ANNI DI DAVIDE OLDANI, L’INVENTORE DELLA CUCINA POP

Il primo ottobre lo chef del ristorante stellato D’O raggiunge il traguardo del mezzo secolo. “Non cambia niente, andrò avanti a fare quello che mi piace…” dice. L’ultimo progetto è una scuola in cui si recuperano i vecchi mesteri, dal macellaio al panettiere

 DI GIACOMO FASOLA @GIACOMOFASOLA

Il primo ottobre Davide Oldani compie 50 anni. “Ma non me ne frega niente… Ho un po’ di progetti in ballo ma non sono come quelli che fanno tante cose per combattere il tempo che passa. Vado avanti facendo quello che voglio fare. E cerco di tenermi in forma: mangio meno, mangio meglio e vado in bici. Certo, ci sono cose che non faccio più… Per esempio ho rinunciato alle partite di calcetto”.

Oldani è lo chef del ristorante stellato D’O, a Cornaredo in provincia di Milano. È anche l’inventore della Cucina Pop, nata – si legge sul suo sito – “dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile, l’innovazione con la tradizione”. Nel 2008 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro, nel 2015 è stato ambasciatore di Expo. L’abbiamo incontrato ad Aman Venice, l’hotel cinque stelle lusso sul Canal Grande di Venezia di cui è consulente culinario.

Davide, com’è cominciato tutto?
A 16 anni giocavo a calcio in C2. Ero forte, un bell’attaccante. Frequentavo l’istituto alberghiero e accettai di disputare un torneo scolastico, anche se in teoria non avrei potuto… Mi ruppi tibia e perone. Dopo quel brutto infortunio si chiuse una porta: io puntavo alla Serie A, non avrei mai accettato di giocare in Promozione. Andai a lavorare da Gualtiero Marchesi.

Vent’anni dopo, nel 2003, aprì il D’O nella sua Cornaredo.
Ero saturo dell’alta ristorazione. Allora ho scommesso su me stesso, ho messo insieme tutti i soldi che avevo e li ho investiti in un’idea. Ho preso il mio know-how, le cose che avevo imparato in tanti anni di lavoro nell’alta cucina e l’ho applicato al mio progetto. se andava male tornavo a fare il cuoco.

Il successo del D’O rappresenta un rivincita per lei?
Con gli altri non mi sono preso nessuna rivincita, con me sì: ho dimostrato a me stesso che con la passione, il carattere, l’amore per il mestiere che fai riesci a costruire qualcosa di buono. Con Expo abbiamo gridato al mondo che il cibo deve essere per tutti: lo slogan era “Feeding the planet, energy for life”. Io quel concetto ce l’ho ben chiaro sin da quando ho aperto il D’O.

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La cucina del nuovo D’O, a Cornaredo in provincia di Milano. Foto: Beppe Raso


Ha anticipato i tempi…
Ho fatto, rischiando molto, un passo necessario. E nel 2016 ne ho fatto un altro aprendo il nuovo locale che è cinque o sei volte più grande del vecchio D’O ma con meno clienti. Non volevamo mettere 100 coperti per guadagnare di più, piuttosto accogliere meno persone ma meglio.

E come sta andando il nuovo D’O?
Meglio del previsto. I primi tre o quattro mesi sono stati duri, perché c’erano tante richieste e non sapevamo come muoverci: ogni progetto è un work in progress. In giugno il Gambero Rosso ci ha dato le “tre forchette”, ora aspettiamo le altre guide.

All’inizio usciva poco dalla cucina. Ora riesce a concedersi qualche libertà in più?
Quando cominci devi essere molto presente per dare la linea, impostare l’azienda. Ora esco un po’ di più ma con cognizione di causa, perché tutto deve funzionare alla perfezione. Nel mio ristorante sono l’unico che sa coprire tutte le posizioni e questo dà sicurezza ai ragazzi più giovani. Se sono ancora molto presente, poi, è perché amo il mio mestiere: in un certo senso è come una droga, dà dipendenza…

Secondo alcuni suoi colleghi, conciliare qualità e sostenibilità economica in un ristorante stellato è impossibile. Lei che ne pensa?
È un discorso un po’ delicato. Dico solo che quando si ha un’idea, quell’idea dev’essere realizzata e poi venduta: non puoi permetterti che la gente non venga perché il tuo locale è troppo caro o non abbastanza buono. Se l’idea è valida deve esserlo a tutti i livelli, dalla qualità del prodotto alla sostenibilità economica: è la regola base dell’imprenditoria. E se ci riesci il pubblico ti segue.

In questo senso il prezzo è una variabile importante…
Certo, è la base: ottieni la sostenibilità economica se dai il giusto valore a quello che vendi. Magari qualche hanno fa potevi permetterti di proporre prodotti di grande qualità e farli pagare tanto, ora bisogna stare più attenti. Il riconoscimento più bello è quando il tuo progetto viene comprato, funziona così nella ristorazione ma anche negli altri ambiti: se scrivi un libro vuoi venderlo, no?

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Il marchio D’O ora è anche a Venezia e in Asia. Lo sta esportando?
Siamo ad Aman, a Singapore e a Manila con FOO’D, nella Piazza del lusso dell’aeroporto di Malpensa con Davide Oldani Cafè. Il mio progetto è versatile perché conosco il mestiere: il grande cuoco è quello che si adopera in base al territorio in cui lavora, non viceversa. D’O cerca di proporre grandissima cucina italiana, che poi si tratti di un pezzo di aragosta sarda, cipolla di Tropea oppure cardo gobbo cambia poco.

Viaggiare le piace?
Molto, i viaggi aprono la testa e portano idee nuove. Tutte le mie operazioni, di lavoro e di vita, le faccio perché mi danno qualcosa. Anche se poi devo lavorare di più.

L’ultimo progetto, appena partito, riguarda l’Istituto professionale servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera Olmo di Cornaredo.
Ci abbiamo lavorato con la regione, il comune e la scuola Frisi di Quarto Oggiaro per permettere ai ragazzi del magentino di studiare vicino a casa. Puntiamo a riportare in auge i mestieri artigianali. Oggi la cucina sta vivendo un boom mediatico, tanti ragazzi s’iscrivono all’alberghiero ma poi quelli che vanno a lavorare come cuochi sono pochi… È un mestiere difficile, duro, un conto è guardarlo in tv e un altro è farlo davvero. Il programma prevede degli approfondimenti pratici sul pesce, la carne, le verdure, il pane, in modo da offrire ai ragazzi una doppia opportunità: stare in cucina oppure trovare lavoro nelle grande distribuzione.

Le piace avere a che fare con i giovani?
È molto motivante. Ti danno quella spinta che col tempo potrebbe venire a mancare. Hanno l’adrenalina, la voglia di fare.

Formare nuovi talenti è una cosa che le interessa?
Il D’O rappresenta già una specie di scuola, una ventina di ragazzi che sono stati con me nel corso di questi 14 anni ora lavorano nei tre stelle. Il progetto Olmo di Cornaredo è diverso, è una scuola pubblica che serve per dare un’infarinatura, ma il D’O si metterà a disposizione al 100% per offrire posti di lavoro e consentire ai giovani di fare esperienza. Le sedie e i tavoli del vecchio locale, per dire, li ho regalati alla scuola.

Dice che il traguardo dei 50 anni non la cambierà. Sua figlia, invece, l’ha cambiata?
Camilla Maria è fantastica, ha tre anni e comincio adesso a interagire davvero con lei perché per tanto tempo è esistita solo la mamma. Mi ha dato qualche spunto anche in cucina. Quando un piatto le piace molto, Camilla lecca il piatto: allora abbiamo pensato di proporre al D’O il piatto da leccare.

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Sorgente: I cinquant’anni di Davide Oldani, l’inventore della Cucina Pop – Style – Il Magazine Moda Uomo del Corriere della Sera

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