Monte-Carlo Film Festival de la Comédie 2014

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articolo di The Tiger

Ebbene si, lo ammetto, sono snob.

Sine nobilitate, per fortuna.
Perchè se dovessi non esserlo, avrei dovuto far parte della grandissima folla di persone che hanno visto il film vincitore del Monte-Carlo Film Festival de la Comédie del 22 Febbraio scorso, ossia Sole a catinelle.
Ovviamente banale sottintendere che la mia “critica” non è rivolta alla massa innumerevole di persone che hanno fatto la fila ai botteghini per vedere questa commedia, che hanno pagato, riso e gradito il film e che hanno ritenuto un regalo portare i figli a vederlo.

La commedia cinematografica è un genere che corre sul filo della lama: un passo falso e il film diventa trash; abbiamo visto cinepanettoni vomitevoli, signorine grandisorelle e ragazzotti grandifratelli divenire in un attimo emuli di Ninetto Davoli.
Per assurdo trovo che le vecchie pellicole sfizio-soft che andavano dalla Dottoressa alla visita di leva, arrivando a Giovannona Coscialunga, avessero una verve che arrivava direttamente dall’avanspettacolo; i doppi sensi, la vena sottilmente o esageratamente oscena e ridanciana svicolavano dai luoghi comuni, prendevano vita dai personaggi stessi che esulavano dalla realtà ed erano realmente esilaranti.
cad4f455-cbba-4731-9c67-4fa4a0c2b1c0_jpg_640x480_upscale_q90Se poi di commedia italiana vogliamo parlare bisogna obbligatoriamente citare De Sica, Monicelli, Nanni Loy, Comencini, Dino Risi, Steno, Luigi Zampa, Corbucci e molti altri che hanno fatto la  storia del cinema  facendoci conoscere e apprezzare all’estero per l’estro, la maestria, il genio, la bravura, le battute al fulmicotone con i tempi perfetti e meraviglia, le “maschere” dei nostri più grandi interpreti: come dimenticare lo sguardo di Mastroianni in Divorzio all’italiana? Certo, non posso pretendere che chiunque scriva e interpreti un film possa essere paragonabile a quei nomi irraggiungibili: sarebbe come se io, imbrattafogli, mi ponessi alla stregua della meravigliosa Oriana Fallaci.
C’è un però. Ed è quello che m’infastidisce. Se questo regista, sceneggiatore, attore, sostiene di ispirarsi a Totò allora tutto cambia: lo specchio comincia a deformare le immagini e io non capisco più niente. Come si può sostenere di ispirarsi a colui che andava a braccio per intere scene, obbligando i comprimari a un lavoro difficoltosissimo, ma al tempo stesso portandoli a un livello di bravura superiore, se le sue di battute sono scontate come i saldi dopo Natale? E il brio, l’imprevedibilità, le pause a effetto, la gag che resta nella storia?
Mi auguro che non ci credi fino in fondo in quello che gira, sarebbe un grave errore. Meglio cogliere l’attimo di barbarie culturale che viviamo: credimi Checco, l’ironia, la satira e la commedia italiana sono ben altro! 
 
P.S.
Faccio mio questo pezzo scritto da un critico di tutto rispetto, per esplicare al meglio il mio pensiero.
 
Maurizio Acerbi – il Giornale: (…) Una sceneggiatura troppo banalotta, che si perde per strada, con il sapore dell’occasione perduta. Si ride, comunque, ed è il motivo per cui la gente fa la fila per andarlo a vedere al cinema: le battute divertenti sono tante e strappano risate fragorose. (…) Un passo indietro per Zalone, ma la gente non ci farà troppo caso. E poi è intelligente e sa che il cinema è un’altra cosa.

 

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