Nessuno sa cos’è il disturbo bipolare (e la depressione non c’entra nulla)

Nessuno sa cos’è il disturbo bipolare (e la depressione non c’entra nulla)

Il disturbo bipolare nel cinema e nei telegiornali ha di fatto sostituito la schizofrenia come malattia mentale onnicomprensiva a cui attribuire caratteristiche random. In realtà si sa poco. Un milione di italiani soffre di questa patologia

«L’espressione “disturbo dell’umore” lo fa sembrare una cazzata», spiega E., 44 anni,bipolare di tipo II. «Una cosa che reca disturbo è una mosca che ti ronza vicino alla faccia o un fastidioso prurito alla gamba. Lo stesso vale per la parola “umore”. Parlare di “sbalzi d’umore” fa sembrare che il problema sia una sorta di oscillazione capricciosa tra allegria e tristezza. Invece l’umore è tutto: è il colore che dai al mondo».

Se la depressione è spesso sottovalutata, colpevolizzata o mal descritta dai media, del disturbo bipolare (una volta sindrome maniaco-depressiva) si sa molto poco. E quello che si sa è in genere sbagliato.

Al cinema e nei telegiornali ha di fatto sostituito la schizofrenia come malattia mentale onnicomprensiva a cui attribuire caratteristiche random, a patto che risultino vagamente inquietanti. A volte viene aggiunto alle notizie di cronaca come una sorta di triste postilla (“la vittima/il carnefice era affetto da disturbo bipolare”, si sente dire con tono mesto), il che contribuisce ad alimentare il pregiudizio che vede nei bipolari degli individui imprevedibili e pericolosi.

All’opposto – in nome dei luoghi comuni sulla pazzia creativa e sul genio sregolato – c’è la tendenza ad attribuire diagnosi post mortem a personaggi del passato, come Vincent Van Gogh, Winston Churchill e addirittura Napoleone Bonaparte.

Se n’è accorta anche Hollywood, che in collaborazione con la Casa Bianca (era a.T., avanti Trump, ovviamente) ha lanciato una campagna di sensibilizzazione sulle malattie mentali con protagonisti Glenn Close, pentita di aver dato corpo ad Alex Foster in Attrazione fatale: personaggio bipolare con tutti i tratti caratteristici di quello che il Manuale Diagnostico Statistico potrebbe definire “un matto pericoloso a caso”, e Bradley Cooper, interprete di un papà bipolare nel più recente e benevolo Silver Linings Playbook (tradotto in Italia con un titolo stucchevole e infantile da fare onore alla tradizione tipicamente anni ’90 del “prendiamo un titolo straniero normale e facciamolo diventare molto brutto”).

Quando non viene addirittura confuso con altri disordini – come la schizofrenia–, del disturbo bipolare si hanno presenti solo le sue manifestazioni più eclatanti, che danno un’immagine spropositata e decisamente sopra le righe di una patologia che a oggi è diagnosticata a circa 1 milione di persone solo in Italia.

Anche la definizione di alternanza di euforia e depressione è maledettamente forviante: ricorda i cattivi dei thriller di serie B, perfettamente mimetizzati nella società fino alla fine, quando si scopre che sono loro gli assassini. A quel punto gli si disegna un ghigno diabolico sulla faccia, le frasi diventano sconnesse e minacciose e la mimica facciale di Jack Nicholson in Shining sembra al confronto rassicurante.

L’equivoco riguarda soprattutto ciò che si intende per “fase maniacale”. La psichiatra Cristina Toni, esperta di disturbo bipolare, spiega che la tradizionale concettualizzazione che lo identifica con l’alternanza di fasi di depressione con fasi di esagerata euforia (la mania, appunto) riguarda di fatto una stretta minoranza di casi. «Esistono infatti», spiega Toni: «numerosi sottotipi di disturbo bipolare, di gran lunga più frequenti, nei quali l’euforia cede il posto all’aggressività, all’impulsività, i sintomi comportamentali prevalgono sui vissuti soggettivi, o l’alternanza fra sintomi depressivi e maniacali è talmente rapida, anche all’interno di una stessa giornata, che può risultare difficile separare in modo chiaro le due opposte polarità del disturbo». Senza contare che esiste anche l’episodio misto (il più pericoloso), con la presenza contemporanea di sintomi depressivi e ipomaniacali che combinati si portano dietro ansia e irritabilità.

Il disturbo bipolare di tipo I è caratterizzato da una forte incidenza delle fasi maniacali. In quello di tipo II, al contrario, gli episodi depressivi sono nettamente più frequenti. “Ciclotimico” è ormai diventato un modo più à la page per dire “lunatico”. Si tratta però di un disordine vero e proprio.

Per fare un po’ di chiarezza, tenendo conto della complessità delle manifestazioni soggettive e della fisiologica componente arbitraria nei criteri diagnostici, va innanzitutto precisato che esistono tre categorie di bipolari.

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