Preda della sindrome di Stendhal

Preda della sindrome di Stendhal: Il Galata morente

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Scendo dall’autobus 810 e mi trovo in via dei Fori Imperiali, attraverso la strada ignorando le auto che circolano anche dove non potrebbero, costeggio il museo del Vittoriano e comincio la salita che mi porta in Piazza del Campidoglio: Marc’Aurelio  a cavallo domina la piazza guardando le spalle ai Dioscuri in cima alla scalinata; che importa se è una copia, l’autentico è ben custodito anche se ultimamente qualcuno avrebbe voluto munirlo di mutandoni o evirarlo direttamente. Alla mia destra la scalinata minore della  chiesa dell’Ara Coeli,  dove era conservato il bambinello sacro ormai rubato e mai più trovato. Ma io oggi ho una destinazione precisa: vado ai Musei Capitolini, saranno almeno dieci volte che li visito ma non mi stanco mai. Dovrebbero fare come a Gardaland: paghi un biglietto ed entri 2 giorni, sono talmente vasti e pieni di opere che un solo giorno non può bastare.
Passo il metal detector e comincio a gironzolare come a casa mia: opere di una meraviglia inaudita, dipinti, vetrate, busti, soffitti, arazzi; i nomi più importanti del panorama italiano si offrono a gli occhi stupiti di chiunque e voglia guardarli.
Conosco una piccola saletta con una dormeuse che avrà 500 anni, sopra un piccolo dipinto del Parmigianino racchiuso in una cornice barocca di forma rotonda e sul muro a fianco qualcuno ha scritto a matita: Marco e Sara per sempre. Per sempre imbecilli!!!
Ma chi se frega di Marco e Sara! Ma cos’è che rende la gente così idiota? E hanno pure pagato un biglietto per tale scempio. Il vigilante mi guarda rammaricato e spiega che sono in pochi, l’afflusso enorme, meno male che è matita. Ho voglia di prendere uno straccio e pulire, ma ho altro da fare: sono venuta per lui!
Non so se la sindrome di Stendhal esista veramente, ma questa emozione, questa malia sofferta io l’ho provata due volte in vita mia:  quando vidi la Pietà per la prima volta: mi si piegarano addirittura le ginocchia mentre un capogiro improvviso faceva ruotare l’intera basilica e poi di nuovo quando scoprii quello che ora vi mostrerò.
Ci si può innamorare di una statua? Non lo so, non credo, ma le emozioni che mi suscita sono intense, viscerali e se non è passione vi somiglia molto.
Entro nella “sua” sala; tutto sembra fermarsi, il blaterare annoiato delle guide, la babele di lingue, il suono dei respiri che si mozzano in gola ai turisti e poi, eccolo, rimaniamo soli, io e lui. Ormai ci conosciamo da anni, ho un suo ingrandimento a casa, qui si possono fare foto e io ne ho fatto uno stupendo quadro. Mi avvicino a lui, è a grandezza naturale, la vigilanza ha seguito la ciurma di turisti ed io ne approfitto per sfiorarlo: malgrado il marmo freddo emana calore, sfioro il monile che ha al collo e poi sfioro le labbra. Incredibile, meraviglioso, non ci sono parole.
Perché non parla?!

Potrei rimanere qui ore e giorni e oltre e non mi stancherei mai di osservarlo, di scoprire nuovi e incredibili dettagli. Ora ve lo mostro, la spiegazione che segue non è di mio pugno ma presa da siti specializzati: devo rendergli onore e non credo che ne sarei stata in grado: spalancate gli occhi la meraviglia sta per incontrarvi.

Il Galata morente è la copia romana in marmo di un’opera ellenistica. L’originale, probabilmente bronzeo, faceva parte insieme all’altrettanto celebre Galata suicida del grandioso donario dedicato nel 223 a.C. dal sovrano Attalo I sull’Acropoli di Pergamo e precisamente nel santuario di Atena Nikephòros, al fine di celebrare la sua vittoria sui Galati (il nome che i Greci attribuivano ai Celti), invasori dell’Asia Minore. La realizzazione dell’opera è probabilmente da attribuire allo scultore greco Epigonos: durante gli scavi effettuati all’interno del santuario, infatti, furono ritrovati dei frammenti di iscrizioni tra le quali una posta in forma dedicatoria ad Atena proprio con la firma dello scultore.859ded2fe1478ec8d01540890a62c267

Analisi della scultura

La statua rappresenta un guerriero galata in punto di morte. Elementi che lo contraddistinguono come celtico sono principalmente il torques, una tipica collana, i baffi, i capelli ispidi nonché la nudità propria del modo di combattere di questo popolo. Il personaggio, che attende la morte causatagli da una ferita sul petto, è semisdraiato su un plinto di forma ovale sul quale compaiono alcuni armamenti sempre di concezione gallica: una spada, un fodero a più basso rilievo, una cintura a nastro con fibbia squadrata, un corno spezzato e parte di un altro corno. La gamba sinistra è leggermente allungata, mentre quella destra è flessa. Solo il sostegno del braccio destro garantisce l’equilibrio della scultura. Il braccio sinistro è, infatti, piegato e la mano appoggiata sulla coscia destra. Il torso è flesso e ruotato verso destra e ben rappresentata è la schiena dal volume arrotondato. La testa è piegata verso il basso. Il volto è scolpito con estrema accuratezza. La capigliatura è importante e voluminosa.
Ciò che traspare da quest’opera è la resistenza al dolore e la fierezza del guerriero che, non sottomesso, affronta con coraggio e onore la sconfitta del suo popolo e il proprio destino di morte imminente.

Insomma pensatela un po’ come vi pare, ma io e questa statua abbiamo un feeling speciale e se avete in programma una gita a Roma non perdetevi Il Galata Morente non ve ne pentirete!!!

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