Storie di inni nazionali da raccontare ai vostri amici

Storie di inni nazionali da raccontare ai vostri amici

Di quello scritto da un presidente in carica, del più triste del mondo e di uno che “è come se Johnny Cash avesse suonato il valzer e fosse nato ai Caraibi”

Gli inni nazionali sono spesso dei pezzi di storia di un paese: raccontano guerre d’indipendenza, esaltano orgogli nazionali e sentimenti patriottici. Molti sono solenni, altri sono scopiazzati da canzoni precedenti, altri ancora sono così tristi che non ci si crede a immaginarli suonati dopo una vittoria olimpica. Ma soprattutto hanno storie incredibili e bizzarre, che coinvolgono sia compositori di successo che perfetti sconosciuti. Di storie belle e interessanti ce ne sono decine e la persona che meglio è riuscita a raccoglierle in una sola opera si chiama Alex Marshall, un giornalista che nell’agosto 2015 ha pubblicato un libro intitolato “Republic or Death!: Travels in Search of National Anthems”. Abbiamo scelto 15 inni nazionali, tra i più famosi o con le storie più interessanti.

Intanto, per scaldarci: lo sapevate che l’inno nazionale del Burkina Faso fu scritto dal rivoluzionario marxista Thomas Sankara, che nel 1983 divenne presidente del paese e che morì assassinato nel 1987? Sankara era chiamato anche il “Che Guevara africano”. Un pezzo della sua storia è qui.

Nepal – Siamo centinaia di fiori

L’inno nazionale nepalese è l’unico in tutto il mondo suonato con una tastiera della Casio, la società giapponese che produce articoli elettronici. Fu scritto nel 2006, alla fine di 10 anni di guerra civile tra i ribelli maoisti e il Re, e – senza offesa per nessuno – sembra un po’ una canzoncina da recita scolastica. Dice cose come «siamo centinaia di fiori, una ghirlanda del Nepal», ma non ci si deve lasciar ingannare: è uno degli inni più politici di tutta l’Asia, visto che esalta l’unità, il coraggio e l’orgoglio. Le parole sono del poeta nepalese Byakul Maila, che dovette sottoporsi a diversi colloqui con le autorità maoiste per per dimostrare che in nessun momento della sua vita era stato fedele al Re. Ci riuscì per poco: venne fuori che alcuni anni prima aveva curato una raccolta di poesie che conteneva anche un contributo del Re. Alcuni maoisti che governano oggi il paese avrebbero voluto un inno più deciso, più rivoluzionario. L’inno nepalese, intitolato “Siamo centinaia di fiori”, fu adottato ufficialmente il 3 agosto 2007.

Italia – Canto degli italiani

L’inno della Repubblica italiana si chiama “Canto degli italiani”, anche se “Inno di Mameli” è il nome con cui è più conosciuto. La melodia fu scritta dal musicista genovese Michele Novaro, mentre il testo su cui è basata, pieno di riferimenti classici e storici difficili da cogliere, fu scritto nel 1847 da Goffredo Mameli, un giovane poeta genovese di appena vent’anni. Due anni dopo aver scritto l’inno, Mameli si arruolò con le milizie guidate da Giuseppe Garibaldi che avevano conquistato Roma e proclamato la Repubblica. Nel febbraio del 1849 Mameli fu ferito a una gamba e morì di cancrena pochi giorni dopo, all’età di 21 anni. Di solito la seconda parte dell’inno non viene eseguita e le sue parole possono sembrare davvero strane. Per esempio si dovrebbe cantare: «Ogn’uom di Ferruccio / ha il core, ha la mano», un riferimento molto oscuro al capitano Francesco Ferrucci, che nel Cinquecento morì combattendo vicino a Firenze contro l’esercito del re di Spagna.

Solo nel 1946, dopo la proclamazione della Repubblica, il Canto fu scelto come “inno provvisorio”; ma sono passati settant’anni, e siamo ancora qui a cantarlo.

 

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